AUTORITÀ ASSOLUTA DI DIO E AUTORITÀ RELATIVA DEGLI UOMINI CHE SERVONO DIO. ASPETTO FILOSOFICO
Nel Vangelo di San Giovanni leggiamo: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto [Giov. 14, 1-2].[1]
In questo brano sono presenti tre premesse, strettamente legate tra di loro.
Prima: ciò, che Gesù Cristo dice, é vero, poiché Dio é veridico – se non fosse così, Egli ce lo avrebbe detto. Non avrebbe ingannato i suoi discepoli. Per questo Egli non dimostra loro la verità delle sue parole. La dimostrazione della veridicità delle parole di Gesù non è necessaria perchè Egli, come Dio, ha diritto di esigere da loro la fede, in forza della sua autorità divina.
Seconda: non tutto si lascia dimostrare con l’aiuto di deduzioni logiche. Qui la fede sostituisce le deduzioni. Ma Dio chiede forse una fede cieca? No. Su che cosa si appoggiano, allora, la sua credibilità e la sua autorità? Si appoggiano su quello che Dio è e sulle sue opere. Questo va compreso in modo razionale sulla base della metafisica e della filosofia di Dio. Si appoggiano sulla opere di Dio, che confermano le parole di Lui. Dio ha creato il mondo e l’uomo. Possiamo esaminare in modo razionale questi risultati del potere di Dio, con l’aiuto delle scienze naturali, ma anche tramite varie ontologie e la filosofia di Dio. Alcune constatazioni razionali su questo tema sono state fatte molto tempo fa. Ma adesso vale la pena di ricordarle. Abbiamo il principio strettamente teistico: Dio é l’unica causa dell’esistenza del mondo e non esiste nessun mondo alternativo, (non divino). La sorgente della verità del mondo creato da Dio è Dio stesso. La cosiddetta verità ontologica è iscritta in tutte le cose naturali (inclusi tutti gli uomini)
Terza premessa: la veracità di Dio deriva dalla sua assoluta esistenza, non condizionata da nulla. Egli non raggiunge nulla a costo dell’uomo, perché l’uomo non ha niente di proprio a causa del quale Dio potesse sentire la mancanza di qualcosa, qualche carenza, per la quale Dio sarebbe in certo modo dipendente dall’uomo. In senso ontologico Dio è totalmente indipendente dall’uomo. Allora Dio è necessariamente incondizionato, è autorità illimitata.
Ora possiamo domandarci: che cosa é l’autorità? Autorità (latino, auctoritas) é un concetto ricco di significati. Avere autorità significa essere caratterizzati da serietà, avere riconoscimento sociale, valore, prestigio, essere imparziali davanti a fenomeni che sono importanti per molte persone. Si lega con l’autorità anche il possesso del potere, che presuppone che si tratti di una personalità carismatica, spesso di straordinaria bontà.
Le persone che hanno autorità sono quelle che godono di prestigio per valori (religiosi, morali, scientifici ecc…) apprezzati in un dato gruppo (società), sono persone le cui idee, convinzioni, suggerimenti sono degni di essere seguiti. Non si può essere autorità per se stessi, ma lo si è per qualcuno, per l’altro, per la comunità, il gruppo o la società.
Autorità assoluta di Dio
Per un cristiano l’autorità più alta e assoluta, è Dio. Il cristiano credente è indotto a riconoscere l’autorità di Dio dalle sue opere, sia naturali (il mondo creato in tutta la sua struttura), sia soprannaturali, di cui Dio ci ha parlato con la sua parola (la Bibbia).
Queste opere sono collegate con gli attributi di Dio, quali: la sapienza, la bontà, l’amore, ma anche l’onnipotenza, l’onniscienza di Lui. Dio è immutabile ed eterno, poichè Egli non ha un’origine, non ha una causa del suo esistere, per cui in modo ontico nessuno e niente Lo precede. Da Dio procedono gli enti secondari (derivati), esistenti in modo accidentale e trascendente. In proposito pensiamo al mondo umano e a quello naturale, fuori del mondo umano (il cosmo impersonale). Secondo il pensiero cristiano, questi enti derivati sono stati creati dal nulla (creatio ex nihilo). Questa è una concezione sostanzialmente diversa, per esempio, dal pensiero non cristiano di Spinoza, secondo il quale il mondo materiale e il mondo del pensiero sono parti finite degli infiniti attributi di Dio (Deus sive Natura). Il mondo di Spinoza (quello fisico come anche quello delle idee e dei pensieri) non può essere creato, poichè il mondo e Dio abbiano la stessa posizione ontica. Essi creano l’entità immanente. Dio non può creare se stesso, dato che esiste di necessità. Questo mondo di Spinoza non può essere creato, perchè Dio non può creare se stesso.
E nello stesso modo non cristiana è l’opinione di Hegel. Il filosofo tedesco esprime un pensiero similmente non cristiano e anzi cripto-ateistico. Secondo Hegel, l’autocoscienza di Dio si fa insieme con l’autocoscienza umana. Questa idea è piuttosto differente, per esempio, dalla non cristiana opinione di Benedetto Spinoza, secondo la quale il mondo materiale ed il mondo del pensiero sono direttamente frazioni finite degli infiniti attributi di Dio. Per Hegel Dio non esiste come Ente autonomo e trascendente, ma il suo contenuto interno si esprime in pieno nella coscienza umana. Se fosse come ritiene Hegel, Dio sarebbe dipendente dall’uomo in modo totale. Mediante questo processo, Egli si farebbe Dio sempre di più, svelando per sé la sua divinità. Infatti Dio non potrebbe essere Dio senza la mediazione del mondo naturale e del mondo culturale creato dall’uomo. Tale opinione, indipendentemente dalle intenzioni di Hegel, conduce direttamente all’ateismo, che nega l’esistenza reale di Dio. In realtà questi due mondi non possono precedere Dio, e perciò non aggiungono o non tolgono niente, perchè sono solo un effetto dell’attività divina. La natura divina non si riduce alla natura umana.
Nel senso cristiano (per esempio, nella versione di san Tommaso d’Aquino) il mondo naturale ed il mondo della cultura umana tanto hanno di verità, bontà e bellezza, tanto di essere in sé, quanto hanno ricevuto da Dio. Dio-Creatore è per loro la sorgente dell’esistenza; grazie a Lui sono vere, buone e belle. E non è vero, che, originariamente, tale sorgente fosse la natura, cosmicamente intesa, e tanto meno l’uomo.
Siccome Dio ha creato tutta la natura e il mondo degli uomini, questo è avvenuto non come risultato di un capriccioso, spontaneo e accidentale atto della sua volontà. Dio è amore e per amore li ha chiamati all’esistenza, perché esistessero (s.Agostino). Ovviamente la carità divina non sempre si rivela direttamente in un atto concreto; essa si esprime anche attraverso la legge di Dio. Dio ha chiamato all’esistenza questi due mondi secondo un progetto determinato in anticipo, cioè secondo la legge eterna (san Tommaso d’Aquino). Questa legge determina la struttura degli enti materiali, che possono essere esaminati dalle scienze naturali, ma anche degli enti spirituali (il mondo dello spirito umano). Questa legge determina tutte le relazioni tra gli enti naturali. Il riflesso della legge eterna è l’ordine naturale nel mondo degli enti finiti. Questo ordine è conoscibile dall’uomo come legge naturale. Qui possiamo parlare della dimensione fisica[2] come di quella di morale. Dio ha progettato il mondo delle creature, in sviluppo dinamico fino ai minimi dettagli [san Tommaso d’Aquino dice, che ogni res naturalis ha la sua primordiale, individua idea (non universale) nella mente di Dio]. La mente divina è infinita, perciò non ha nessuna limitazione conoscitiva e per questo non ha bisogno di usare categorie e concetti universali come l’uomo, per il quale le cose individuali (tranne le più semplici) non sono conoscibili fino in fondo. Le cose naturali (strutture inanimate, piante, animali) e le persone umane diventano, nel loro svilupparsi, sempre più simili a quelle idee primarie, esemplari, esistenti nella mente di Dio, e mantengono tra di loro l’ordine naturale, in armonia con l’eterna legge divina. Il mondo naturale (cosmo) e il mondo umano sono il riflesso dinamico del progetto divino. La verità è la relazione tra l’idea e quello che questa idea rispecchia. Qui parliamo di verità ontologica. Gli enti naturali, formati secondo le idee esemplari, hanno una loro propria struttura interna. Questa presuppone un ordine, connessioni congiungenti in unità, tra i vari elementi e nello stesso tempo da essi derivano i beni, metafisicamente intesi. Abbiamo qui la concezione metafisica del bene. Il bene si basa sull’essere. Quanto maggiore è l’ordinamento nell’essere o quanto maggiormente complessa è la sua struttura, tanto più l’essere esiste. Invece, quanto più un ente è disordinato, quanto più ha una struttura deformata, tanto più ha di male in senso metafisico. Da Dio solo provengono la verità e il bene e quindi la struttura, l’ordine, l’armonia tra gli enti, basati su leggi metafisiche, fisiche e morali. Il male non proviene da Dio, il quale non può possedere alcuna forma di male, e allora il mondo creato (naturale) in quanto è buono (non deformato, senza carenze e malattie) deve provenire in modo necessario da Dio, e niente di quanto è vero e buono può trovarsi fuori di Lui, anche se concreti prodotti o opere provengono dall’attività umana. Tutti e due questi mondi appartengono pienamente a Dio ed in modo naturale manifestano l’esistenza di Lui. La rivelazione naturale è una rivelazione preliminare, introduttiva alla rivelazione soprannaturale, data dallo Spirito Santo nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.
Però già questa prima rivelazione di Dio nel mondo naturale e nel mondo umano ci induce a pensare ad essi come a qualcosa che è proprietà di Dio. Tutti gli uomini e l’intero cosmo appartengono a Lui. Se Dio si rivolge a noi, si rivolge a qualcosa che Gli appartiene.[3] Poiché tutto quello che Dio ha fatto, è vero e buono, l’unico atteggiamento giusto dell’uomo davanti a Dio è il ringraziamento e l’adorazione. Nello stesso tempo questo è un riconoscimento dell’assoluta autorità di Dio.
In tale situazione l’unico atteggiamento giusto davanti a Dio è l’obbedienza incondizionata, cioè una piena e libera sottomissione alla volontà di Dio, espressa nelle sue parole. Questa obbedienza non è tuttavia cieca e forzata (per esempio, risultante da paura di un castigo divino), ma è una libera e ragionevole accettazione della migliore strada della vita, preparata da Dio per una concreta persona. Tale obbedienza risulta soprattutto dalla legge imposta a noi, legge divina (comandamenti di Dio, legge naturale ecc.), che ci è stata comunicata nel cuore e attraverso la parola di Dio. Ovviamente, in modo intimo Dio si rivolge ad ogni persona singola e questa relazione individuale non si può generalizzare come un principio di legge. La legge divina, in tutte le sue forme, non è data direttamente ed in modo unico a ciascuno, e anche se è data a tutti, non è subito compresa da ognuno. Nel caso di leggi che governano il mondo fisico è necessario lo sforzo di generazioni di competenti ricercatori, i quali, desiderando di conoscere la verità su questo mondo, tendono a distinguere queste leggi naturali. Nel caso delle leggi morali e religiose, c’è bisogno di persone e di istituzioni mediatrici, autorizzate a spiegarle.
L’obbedienza alla volontà di Dio si esprime in atti di fede, nei quali l’uomo accetta questa volontà, più frequentemente definita davanti a lui nelle divine leggi morali e religiose (comandamenti, precetti, proibizioni, prescrizioni ecc.). L’ubbidiente a Dio trova il modello perfetto nell’obbedienza di Gesù Cristo a Dio Padre.
Dopo la Risurrezione di Cristo e la sua Ascensione non siamo più testimoni contemporanei di Cristo e perciò abbiamo bisogno di quella mediatrice tra noi e Dio, che è la Chiesa cattolica. Questa mediatrice ha a sua disposizione la Sacra Scrittura e tutta la Tradizione, su cui è basato il Magistero della Chiesa. Ora l’obbedienza a Dio, diventa, per forza di cose, obbedienza alla Chiesa. Tutti coloro che vogliono conoscere la volontà di Dio, per realizzarla, devono conoscerla e prendere, come propria, la “sana e incontaminata” dottrina della Chiesa. Qui si presuppone la tacita convinzione, che non esista e non possa esistere nessuna contraddizione tra l’obbedienza a Dio e l’obbedienza alla Chiesa. Non c’è nessuno iato tra queste due obbedienze. L’obbedienza a Dio è incondizionata e riguarda tutti i credenti: laici, ma anche religiosi (vescovi e papa compresi). Dio è immutabile ed esiste fuori del tempo; anche la sua parola e la sua legge sono immutabili.[4] Ne risulta che il senso primordiale delle parole di Dio e della sua legge deve essere conservato in forma invariata nel corso della storia umana. Questo significa che nessuna interpretazione della Sacra Scrittura (esegesi), realizzata in qualsiasi età storica, può mutare in senso essenziale questo significato originario.
Autorità relativa degli uomini che servono Dio
Oggi ci sono, purtroppo, nella Chiesa cattolica, tentativi di far prevalere moderne interpretazioni soprattutto della dottrina cattolica morale, rispetto alle parole chiare ed inequivocabili di Gesù Cristo, enunciate nel Vangelo. Un buon esempio di questo modo di procedere, si trova in alcuni brani dell’esortazione Amoris laetitia, riguardante l’etica matrimoniale. Questa esortazione in modo inequivocabile rende possibile quello che Gesù Cristo ha escluso nel Vangelo. In particolare (in casi speciali) in quel documento si ammette la possibilità di ricevere l’Eucaristia da parte di persone che vivano in un successivo, non sacramentale, legame. L’esortazione parla di loro come di persone che continuano a rimanere in legami cosiddetti „irregolari”. Vi leggiamo:
Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette "irregolari", c'è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta "irregolare" vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa.[5]
Dal suddetto brano deriva che, in alcune circostanze particolari, persone in unioni “irregolari”, compiono rapporti sessuali senza commettere peccato, senza fornicazione.
Dunque la rottura del primo matrimonio e l’accesso ad un secondo legame quasi-matrimoniale, in modo consapevole, e con un atto di propria libera volontà, non è un adulterio. Ne risulta che il matrimonio non sia assolutamente indissolubile. È ovvio, che tale conclusione non sia conforme con le parole di Gesù Cristo: “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. [Mt 19, 6].
Questo significa che “l’obiettiva norma morale”, richiamantesi , aggiungiamo, al sesto comandamento del Decalogo: “Non fornicare”, e a chiare dichiarazioni di Gesù Cristo nel Vangelo,[6] in alcune situazioni di persone viventi in legami non sacramentali, smetta semplicemente di essere obbligatoria. Che cosa la sostituisce? Nel documento citato si parla di fattori soggettivi delle persone alle quali viene adattata. Queste persone non comprendono “i valori insiti nella norma morale”, soggettivamente non sono in grado di uscire dalla situazione nella quale si sono poste, mettendosi in un nuovo legame o non hanno una volontà tanto forte da strapparsi ad esso per sempre. Per giunta, papa Francesco non incita quelle persone a compiere tale atto di volontà, perché, secondo lui, esse commetterebbero “una nuova colpa”, che potrebbe diventare lo sgradito risultato di tale decisione. Egli fa intendere che la colpa vecchia non verrebbe annullata ma, al contrario, verrebbe aumentata.[7] Allo stesso tempo l’autore di Amoris laetitia rigetta il suggerimento di Giovanni Paolo II (Familiaris consortio, 186) della possibilità di convivenza "come fratello e sorella". Francesco scrive, che in tale situazione mancherebbero "alcune espressioni di intimità” e “la fedeltà” dei divorziati sarebbe “messa in pericolo”. Qui abbiamo una chiara giustificazione delle unioni “irregolari”.
È facile notare come, nelle società contemporanee, questi “difficili” casi non siano isolati o eccezionali. Molte persone che nel loro matrimonio reagiscono in modo emozionale alle difficoltà soggettive, possono dire che l’oggettiva norma morale non è valida per loro, e che l’unica soluzione sia una vita in un nuovo legame non sacramentale. Questo riguarda, prima di ogni altra cosa, tutti coloro che mal sopportano il “torto” di essere stati rigettati, dopo il matrimonio sacramentale. Nel paragrafo 304 dell’esortazione si chiarisce che le norme generali “mai si devono ignorare o trascurare”[8], ma che ci sono alcuni casi non toccati da esse. Dunque, la conclusione è evidente: le norme “generali” in realtà non sono nient’affatto generali. Indirettamente si afferma che le parole di Dio nella Sacra Scrittura, fondanti queste norme, non sono né immutabili né sempre valide. Per principio, dobbiamo essere ubbidienti a Dio, ma ci sono situazioni o casi, in cui questo non è necessario. L’autore di Amoris laetitia riconosce, infatti, che tale necessità, escludente eccezioni, sarebbe una “casuistica insopportabile” e questo “metterebbe a rischio” dei valori non meglio precisati che “si devono custodire con speciale attenzione”.
Dalle sopraindicate considerazioni risulta, che in alcuni nuovi legami non sacramentali le persone, le quali hanno rapporti sessuali non commettono peccato, non fornicano. Allora la rottura del primo matrimonio sacramentale e il mettersi, con un atto della propria volontà (non per l’impulso emozionale di un momento) in una seconda unione non sacramentale, non sono adulterio. Da questo allora risulta, che il matrimonio sacramentale non è assolutamente indissolubile. Questa conclusione non può essere conforme con le parole di Gesù Cristo, che nel Vangelo di san Matteo dice chiaramente ed espressamente rigette finora esistente l’ordine di Mosè[9]: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”, e dice: “Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.” [Mt 5, 31-32].
Perciò Gesù Cristo si contrappone ai farisei che gli domandano: “È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?” [Mt 19, 3], e risponde, dicendo: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi”. [Mt 19, 3-6].
Il mandato di Gesù è univoco: in nessun caso un uomo e una donna possono unirsi in un successivo matrimonio, se uno di due (o entrambi) sono stati uniti in primo matrimonio da Dio stesso. Gesù Cristo esclude direttamente ogni eccezione e tutte le circostanze attenuanti. Non si riferisce a nessun ostacolo soggettivo, in grado di annullare o sospendere la validità delle sue parole.
Il nuovo insegnamento espresso nell’Amoris laetitia per quanto si riferisce ad una possibilità di ammettere all’Eucaristia i divorziati, viventi in successive unioni non sacramentali, riguardante casi eccezionali e particolari, ha suscitato numerosi dubbi sia tra il clero sia tra i fedeli laici.
In questo contesto vale la pena di riportare l’intervento di quattro cardinali della Chiesa cattolica: Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, i quali, il 19 settembre 2016 hanno pubblicato i loro cinque “dubbi” su frammenti citati del capitolo VIII dell’Esortazione Amoris laetitia. La loro voce non è una polemica con l’opinione del papa, presente nell’Amoris laetitia, ma esprime cinque domande e una richiesta destinate al papa per chiarire i punti destanti incertezze. Come motivo di principio, i Cardinali hanno indicato „incertezza, confusione e smarrimento tra molti fedeli”. Da parte di questi fedeli, „sono pervenute numerose richieste” sulla “corretta interpretazione da dare al capitolo VIII dell’Esortazione.” Essi domandano a Francesco se „sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla santa Eucaristia un uomo che, essendo legato da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio”. Nello stesso tempo le loro domande si riferiscono alle Esortazioni di Giovanni Paolo II (Familiaris consortio, n. 84; Reconciliatio et paenitentia, n. 34) e a quella di Benedetto XVI (Sacramentum caritatis, n. 29). Inoltre, i Cardinali fanno l’osservazione che Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Veritatis splendor ( nr. 79) aveva scritto di atti intrisecamente cattivi. Il Papa aveva insegnato, basandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esistono norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi. Ivi sosteneva, che "la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate" è “moralmente cattiva secondo la sua specie”. Così, Veritatis splendor insegna che ci sono atti che sono sempre moralmente cattivi ed obbligano senza eccezioni. Questi assoluti morali sono sempre negativi, cioè, essi ci dicono che cosa non dovremmo fare. "Non uccidere". "Non commettere adulterio". Solo norme negative possono obbligare senza eccezioni. Una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come, per esempio, con quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale. I sopraccitati quattro Cardinali si riferiscono anche alla Dichiarazione del 24 giugno del 2000. Il Consiglio Pontificio per i testi legislativi mirava a chiarire il canone 915 del Codice di Diritto Canonico, che afferma che quanti "ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla santa Comunione". Nella Dichiarazione si afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il "peccato grave" dev’essere compreso oggettivamente, dato che “il ministro dell’Eucaristia non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva di una persona”.[10]
Similmente i Cardinali affermano che la coscienza da sola non può decidere autonomamente a riguardo del bene e del male di un atto umano e trattare la legge di Dio come “un fardello che è arbitrariamente imposto e che potrebbe a un certo punto essere opposto alla nostra vera felicità”. Essi chiariscono: l’idea di "decisione di coscienza" è ingannevole. L’atto proprio della coscienza è di giudicare e non di decidere. Il giudizio concreto della coscienza dice: "questo è bene", "questo è male". Questa bontà o cattiveria non dipendono da essa. I comandamenti di Dio sono espressione della verità sul bene e sul male. Sono anche un gradito aiuto offerto alla coscienza per cogliere la verità e così giudicare secondo verità.[11]
Conclusioni finali
È vero, che oggi un enorme numero di matrimoni si disintegra. In molti paesi del mondo contemporaneo esso ammonta perfino ad oltre il 50 per cento di tutti i matrimoni. In grande parte, i divorziati ricominciano la loro vita in nuove unioni non sacramentali. Purtroppo, questa è la realtà. Tra i vescovi, ci sono di quelli che vorrebbero incoraggiare le persone a rimanere nella Chiesa cattolica (pratica pastorale giusta e naturale), ma anche rendere loro possibile il pieno accesso ai sacramenti, Eucaristia inclusa. Questa parte del clero non bada al fatto che i divorziati in successive unioni non sacramentali rimangono in peccato mortale. Alcuni brani dell’Esortazione Amoris laetitia costituiscono una buona base per il relativismo etico nella sfera del diritto matrimoniale. Si mette l’accento su certi fattori soggettivi individuali, che, a quanto pare, possono essere conformi con il diritto canonico e con l’insegnamento morale della Chiesa fino a questo momento. Si crea l’impressione, che in generale non si infranga quel diritto, non si cambino le oggettive norme morali e non si sostitituiscano con un nuovo diritto (più liberale), ma nello stesso tempo si libera dal peccato grave, ovviamente in casi eccezionali, alcuni divorziati. Dopo la pubblicazione di Amoris laetitia essi hanno la possibilità di ottenere l’assoluzione da un concreto confessore (sacerdote). In tale caso il divorziato “danneggiato”, cioè il (la) coniuge che è stato/a abbandonato/a dall’altro/a coniuge, ottiene la possibilità di “convincere” un confessore della sua innocenza, cioè di essere vittima dell’altro/a coniuge. Il penitente deve “convincere” il confessore, che egli senza sua volontà e sua decisione è stato “gettato” in questa cattiva situazione. Egli deve anche presentare la sua nuova unione come inevitabile, per il bene dei nuovi figli e della nuova famiglia. Ovviamente, non ogni confessore è pronto ad approvare questa narrazione e a far nascere in sé una misercordia umana davanti ad un tale penitente. Ma certamente sarà possibile trovare un sacerdote ben disposto e misericordioso da cui ottenere quest’assoluzione.
In questo modo, passo dopo passo, i fattori soggettivi (compassione umana, penetrazione nell’animo del penitente, approfondita comprensione e così via) si fanno più importanti delle oggettive norme morali. Questa soggettiva prevalenza sull’oggettivismo etico-religioso è una risposta alle pressioni del mondo laico. Molte persone (alcune anche cattoliche) quasi pretendono mutamenti dottrinali da parte della Chiesa (dal papa, dai vescovi), pretendono che la dottrina della Chiesa cattolica venga adattata ai bisogni della vita dell’uomo contemporaneo. Qui si tratta di una cosa di principio. Duemila anni fa l’Apostolo Pietro disse: bisogna obbedire più a Dio più che agli uomini.[12] Per Pietro e gli altri Apostoli, e poi, nel corso dei secoli, per la Chiesa cattolica, Dio è stato al primo posto, l’uomo al secondo. Adesso sempre più vince, anche nella Chiesa stessa, l’idea, che ci sono situazioni o problemi particolari, nei quali le ragioni e i comandamenti di Dio debbono dare la pecedenza agli uomini. Non si prende in considerazione, che questi ultimi possano cambiare i loro costumi, limitare i loro comodi, rinunciare a piaceri effettivi. Allora la dottrina della Chiesa, e, di consequenza, Dio stesso con i suoi comandamenti devono sottomettersi ai bisogni di vita degli uomini contemporanei. La voce di Dio si fa sempre meno udibile, sempre più priva di significato. Perfino le sue parole, scritte nel Vangelo, non sono intese direttamente come parole autentiche, ma spesso sono sofisticamente chiarite da vari teologi, talvolta situati fuori della Chiesa cattolica.
Da dove provengono questi movimenti nella Chiesa cattolica? In generale, dalla paura delle chiese vuote, dal timore che le chiese senza fedeli vengano solo messe in vendita. I vescovi non vogliono perdere i fedeli. Per questo esiste una grande pressione ad adattarsi al mondo laico, liberale e persino composto di cattolici solo di nome, tanto più che in molti casi queste persone dichiarano di appartenere al cattolicesimo. Le persone di questo mondo non vogliono sentir parlare di peccato, di pentimento, di confessione, poichè tutto questo suppone sforzo spirituale, trasformazione interiore dell’uomo. L’odierno mondo laico (compresi i cattolici di nome) non vuole sforzarsi, ma d’altra parte desidera, anche per impulsi psicologici, partecipare all’Eucaristia.
Sono due le soluzioni di questo conflitto tra la Chiesa finora esistente ed il contemporaneo mondo laico. La prima consiste nel convincere tali persone, che le parole di Gesù, benchè esigenti, hanno sempre la stessa potenza, e formano la moralità umana. Per esempio il sesto comandamento di Dio continua ad essere in vigore e nessuna autorità ecclesiastica può invalidarlo. Continua sempre ad essere valido quello che disse s. Pietro Apostolo: che si deve dare ascolto a Dio più che agli uomini [Atti, 4, 19]. Dio dev’essere al primo posto, l’uomo al secondo. A Dio sono dovuti obbedienza e rispetto, e questi provengono anche dall’osservanza della legge divina, che non può essere cambiata per nessun motivo apparente [Mt 5, 19].[13] Certamente tale stato di cose produce un conflitto insuperabile tra le esigenze di Dio e i postulati di una vita comoda e facile, adeguata agli uomini di oggi. Essi rifiutano la legge divina, perchè non scorgono in essa l’amore di Dio, e per amore intendono qualcosa di facilmente accessibile, di piacevole e piuttosto di carattere corporale che spirituale. L’amore di Dio punta allo sviluppo dell’uomo, che presuppone il superamento delle limitazioni corporali, psichiche e spirituali, cosa che di solito produce dolore e sofferenza, dato che si collegano con la sopportazione di sacrifici e rinunce.
La seconda soluzione, non giusta, consiste nell’incamminarsi di alcune persone del clero contemporaneo (vescovi e cardinali compresi) nella direzione degli uomini deboli e “feriti”. Davanti a loro si parla solo della divina misericordia e ci si dimentica della divina giustizia. Non si parla loro del giudizio particolare, dopo la morte, e neppure del Giudizio Universale. Al contrario si parla di salvezza per i tutti e quasi mai di condanna eterna. Per fare una parentesi, quest’ultima è trattata come qualcosa di drastico e di tremendo. Oggi praticamente questo tema è sparito dalle prediche, poiché gli uomini di oggi sono più sensibili di quelli del passato e prediche del genere potrebbero renderli indisposti verso la Chiesa. Inoltre alcuni teologi ritengono, che la condanna eterna sia in opposizione con il principio della misericordia divina. Acconsentono solo all’esistenza di un inferno temporale (una specie di purgatorio), dopo il quale tutti ottengano la salvezza. I’inferno rimarrà vuoto. La sola misericordia non è legata con i peccati commessi. Molti teologi sembrano suggerire, che Dio sia misercordioso in ogni situazione, indipendentemente dal fatto che l’uomo creda in Lui o no, se l’uomo abbia intenzione di pentirsi dei propri peccati o no. Si emargina il sacramento della confessione o lo si dimentica del tutto. Al sacramento dell’Eucaristia si ammettono tutti (talvolta anche i dissidenti dalla religione cattolica, e i viventi in un secondo legame matrimonial), con ciò profanando l’Eucaristia stessa. Si omette o si dimentica, che esiste un vero Dio in Tre Persone, che non può essere paragonato o messo alla pari con gli altri dei pagani. Talvolta abbiamo a che fare con certi elementi di idolatria, quando si dice che uomini moralmente buoni possono salvarsi anche in altre religioni, perfino senza la mediazione di Gesù Cristo. Non vogliono accettare che senza mediazione di Gesù Cristo, non esista salvezza. Qui si mette l’uomo al primo posto, non Dio. Lo spirito di tale comunità ha un carattere sempre più orizzontale, sempre meno verticale. Si può vederlo anche nella liturgia cattolica di oggi. Della santa Messa sempre più volentieri si parla come del banchetto eucaristico, non come del sacrificio incruento di Gesù Cristo. Sempre meno si parla di rendere onore a Dio, sempre più possiamo sentir parlare di cose umane. L’Eucaristia è ricevuta solo in piedi (talvolta anche nella mano), non in ginocchio. Solo quest’ultima posizione è la manifestazione del più alto rispetto verso Dio. Su questo si esprime con chiarezza il Cardinale Ratzinger ed attualmente dà chiarimenti il Cardinale Sarah.
Tutti i credenti sono tenuti ad una libera e razionale obbedienza ai principi della fede, ai comandamenti e soprattutto al Vangelo. Si tratta del contenuto della fede sana e intatta [2 Tm 4, 1-4], priva di impronte di eresie e di opinioni estranee, si tratta della fede, che è stata confermata da tutta la Tradizione nella Chiesa di Cristo. Ma tutto questo si appoggia su Dio stesso, a cui noi dobbiamo essere ubbidienti in modo assoluto, senza eccezioni. Solo Dio stesso possiede l’autorità assoluta, che non può essere mai messa in discussione. La verità ontologica contenuta nel mondo creato e nell’uomo appartiene a Dio. E soprattutto la verità rivelata da Dio nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Gli uomini che servono Dio nella Chiesa cattolica, hanno l’obbligo di conservare questa verità in forma immutabile, poichè essa non è loro proprietà e non possano disporne liberamente. Tutte le interpretazioni che contravvengono alla verità rivelata, non possono appartenere al deposito della fede cattolica e debbono essere rifiutate. L’obbedienza alle persone che insegnano nella Chiesa cattolica, deve essere condizionata dalla loro obbedienza a Dio.[14] Altrimenti non si può conciliare l’obbedienza a Dio con l’obbedienza a loro.
Perciò gli uomini che servono Dio possiedono un’autorità relativa, dipendente dalla loro obbedienza a Dio.
[1] Nel testo latino: „Non turbetur cor vestrum. Creditis in Deum, et in me credite.In domo Patris mei mansiones multae sunt. Si quo minus dixissem vobis.”
[2] Per esempio, l’attrazione di gravitazione nel mondo materiale è conforme alla legge fisica naturale. Nella scienza fisica essa è descritta con l‘aiuto di teorie complementari: teoria di gravitazione di Newton e teoria generale della relatività di Einstein.
[3] [J 1, 11].
[4] „Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. [Mt 24, 35].
[5] Amoris laetitia, rozdz. VIII, 301.
[6] Cfr. [Mt 19, 9].
[7] Amoris laetitia, rozdz. VIII, 298. „Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell'irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l'uomo e la donna, per seri motivi — quali, ad esempio, l'educazione dei figli — non possono soddisfare l'obbligo della separazione.”
[8] Amoris laetitia, rozdz. VIII, 304. “È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari.”
[9] “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perchè egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa.” [Deut. 24, 1] (La Bibblia di Gerusalemme, Decima Edizione, Bologna 1991).
[10] Cfr. http://notizie.tiscali.it/esteri/articoli/divorziati-4-cardinali-contro-papa-lettera-testo/
[11] Ibid.
[12] Cfr. [Atti, 4, 19; 5, 29].
[13] „Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.”
[14] Cfr. Papa Paolo IV, Costituzione Cum ex apostolatus (1559), „nel caso di apostasia si può essere contrario, accusandolo, perfino di fronte al papa.”
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