I termini nazione e Stato, talvolta erroneamente utilizzati come sinonimi nel dibattito pubblico, rappresentano in realtà due concetti diversi ed è proprio da questa distinzione che occorre partire se si vuole definire la genesi e i riferimenti culturali che costituiscono la tradizione filosofica italiana.
Si tratta di un tema a lungo studiato che ha portato a un dibattito sul cosiddetto mito del primato filosofico nazionale caratterizzato da una serie di opere tra cui il De antiquissima Italorum sapientia di Giambattista Vico, il Del primato morale e civile degli Italiani di Vincenzo Gioberti e il Platone in Italia di Vincenzo Cuoco avendo come momento terminale la pubblicazione nel 1862 della Filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea di Bertrando Spaventa. Una stagione culturale che verrà poi ripresa da Giovanni Gentile ne La Tradizione italiana.
Con il “mito del primato” si intende, come spiega Giuliano Albarani nel suo libro Il mito del primato italiano nella storiografia risorgimentale, la visione “per cui quella italica sarebbe stata la prima filosofia degna di questo nome, progenitrice dell'intero pensiero occidentale, sia in senso qualitativo, come affermazione dell'eccellenza di un modello di pensiero insuperato dal successivo decorso della speculazione politica”.
Il mito dell'antico primato culturale si origina già dai popoli italici, dal culto degli etruschi alle città della Magna Grecia, dai pelasgi alla Roma preimperiale e fa parte della ricerca di un'identità nazionale. Nel passato e nel presente di un popolo c'è una continuità di costumi, lingua, religione, cultura (materiale e immateriale). Carlo Tullio Altan, nel suo libro Ethnos e civiltà. Identità etniche e valori democratici sostiene ci siano cinque fattori essenziali per definire l'ethnos “inteso quale complesso simbolico vissuto dai vari popoli come nucleo originario costitutivo della loro identità e propedeutico all'aggregazione della nazione”: epos, ethos, logos, genos, topos.
L’identità nazionale si forma perciò a partire dalla storia che definisce il carattere di un popolo che condivide un passato comune e la storia rappresenta, come sottolineato da Croce, il racconto autobiografico di una nazione. La consapevolezza di un passato condiviso è un elemento da aggiungere alla lingua e a comuni radici religiose nella formazione del carattere di un popolo poiché la nazione è «una d’arme di lingue, d’altare, di memoria, di sangue, di cor …», scrive Manzoni.
Altro elemento costitutivo del nostro essere italiani è senza dubbio il cibo e la cucina come afferma John Dickie, autore di Con gusto. Storia degli italiani a tavola: «Quando gli italiani mangiano i loro alimenti tipici, nel piatto c’è sempre un ingrediente in più che un forestiero non riesce a percepire: sembrerà retorico, ma questo ingrediente è l’orgoglio di campanile». Il cibo italiano è “carismatico” e animato da «un rapporto quasi poetico con il territorio e con l’identità: gli italiani mangiano così bene perché la cucina rafforza in loro il sentimento delle origini e dell’identità».
Se ci si riferisce all’identità italiana, non può mancare una riflessione sul concetto di patria. Fino a qualche anno fa, definirsi “patrioti” significava essere guardati con sospetto poiché, con la fine del fascismo e la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, era avvenuta una crisi dell’idea di patria che Galli Della Loggia ha descritto nel suo libro La morte della patria. Oggi siamo di fronte a una riscoperta di questo concetto ma non mancano i tentativi di cancellarne la valenza, ad esempio da parte di chi ha provato a sostituire il termine con matria.
Evento cruciale per la definizione di una coscienza nazionale è la Grande Guerra e, pur nella tragedia del conflitto bellico, in questa occasione emerge il pensiero di figure come Renato Serra, Scipio Slataper, Cesare Balbo.
La Prima Guerra Mondiale contribuisce a “fare” davvero gli italiani uniti per combattere al fronte e terminare il processo di unità nazionale. Ancora una volta da una disfatta, quella di Caporetto, quando tutto sembra perduto, il popolo italiano si rialza, è il momento in cui il giovane fante Luigi Saccaro pronuncia una frase destinata a passare alla storia: «Fin qui è arrivato il nemico, ma di qui non si passa».
Con il primo dopoguerra inizia a crearsi una polarizzazione politica che interesserà non più solo le élite ma anche le masse. È il periodo del biennio rosso, degli scontri e della frattura sociale, un contesto storico in cui germina la nascita del fascismo. Comizi, scioperi, manifestazioni, cortei, entrano a tutti gli effetti a far parte del panorama sociopolitico italiano e si sviluppa quel rapporto tra masse e leader carismatici che caratterizzerà anche la politica repubblicana.
Tralasciando il periodo fascista, gli anni successivi alla fine del ventennio e l’avvento della Repubblica, ci consegnano un’Italia spaccata in due: da un lato la DC, dall’altro il PCI. Rossi contro neri, poi comunisti contro democristiani, è l’Italia di Don Camillo e Peppone descritta da Giovannino Guareschi.
Questo clima cambierà ben presto con l'avvento degli anni di piombo, il terrorismo, gli estremismi neri e rossi riaprendo le ferite della guerra civile.
Oggi l’identità nazionale è messa in discussione attraverso nuove forme sia di carattere politico sia socioculturale. Politicamente, dal ruolo assunto dalle entità sovranazionali che, oltre a determinare una limitazione delle sovranità nazionali, si basano su una visione omologante e standardizzante imposta dall’alto che non considera le tradizioni locali. Dall’altro lato, quello socioculturale, stiamo vivendo un tentativo di smantellare valori e tradizioni a partire dal concetto di identità e di italianità che si concretizza non solo nel non ricordare la nostra storia ma nel tentativo di cancellarla e sostituirla con nuovi riferimenti.
L'uniformità culturale degli italiani è (nonostante non ne siamo consapevoli come dovremmo) la nostra principale risorsa strategica. La lingua comune, l'eredità cattolica, l'assenza di conflitti interetnici, costituiscono la nostra forza “gli italiani riconoscono una sola lingua nazionale, il resto degli idiomi è per definizione dialettale. Condividono la medesima cultura cattolica, nello Stivale nessuna teologia aliena ha prodotto costumi concorrenti. Vivono in un'unica comunità etnica, qui non si rintracciano tribù o popoli alternativi. Producono una sola costruzione geopolitica, qui non esistono Stati o feudi in concorrenza tra loro” si legge su “Limes”.
L'Italia costituisce una nazione antropologicamente compatta a partire dalla lingua e, nonostante l'esistenza dei dialetti, la preminenza dell'italiano come idioma è riconosciuta in tutto il territorio nazionale, una situazione molto diversa per esempio dalla Spagna.
All'unità linguistica italiana si unisce quella religiosa di cultura cattolica che, al di là della dimensione spirituale individuale, è un elemento proprio della maggioranza degli italiani: “di fatto il cattolicesimo è l'unica religione della popolazione dai tempi del constantiniano editto di Milano (313). Da allora non esiste una struttura ecclesiastica antagonista di quella cattolica. Ne deriva che gli italiani sono due volte fedeli alla loro capitale, per ragioni politiche ed ecclesiastiche. Spesso un freno alla funzionalità delle istituzioni nazionali, ma l'ulteriore segnale di una profonda aderenza culturale”.
Se da un punto di vista teorico l'Italia può vantare elementi di saldezza superiori a quelle di altre nazioni, in pratica vi è una carenza nella loro concreta applicazione poiché “gli italiani mancano pressoché di tutte le grandezze geopolitiche necessarie ad ascendere alla potenza”.
Solo rendendoci conto che l'identità nazionale costituisce un valore aggiunto e un punto di forza che non ha eguali al mondo, potremo sviluppare una politica estera in grado di valorizzare ciò che siamo ma soprattutto ciò che potremo essere. Un cambio di rotta politico deve essere preceduto e accompagnato da una visione culturale finalizzata a promuovere un'italianità insita nella nazione che troppo spesso viene dimenticata e non sufficientemente ricordata.
Commenti (0)