Il 26 novembre del 1911 a Barga il poeta Giovanni Pascoli pronunciò un discorso destinato a rimanere negli annali della storia italiana.
“La Grande proletaria si è mossa” – affermò tra gli applausi del pubblico colui che fino a quel momento veniva definito un intellettuale pacifista e moderato, riferendosi alla possibilità tangibile che l’Italia entrasse in guerra contro l’Impero Ottomano per trovare nuovi terreni fertili e territori da ripopolare con un’ingente migrazione di lavoratori e contadini dalla penisola. La missione civilizzatrice italiana aveva per Pascoli perfino una matrice unificante per l’Italia, che avrebbe visto combattere per la Patria ogni classe e ceto sociale dopo mezzo secolo di difficile convivenza unitaria.
Un discorso che avrebbe plasmato inconsapevolmente il lento avvicinamento dell’Italia stessa ad un socialismo di stampo nazionalista che avrebbe trovato una sua definitiva sublimazione nel fascismo mussoliniano, lo stesso che vide nel colonialismo uno strumento di sopraffazione e gloria.
Dal 1912, la Libia divenne una colonia italiana, la più importante dell’Africa settentrionale fino alla capitolazione italiana nella Seconda Guerra Mondiale e la conseguente liberazione dall’autoritarismo.
Il teatro bellico dell’Africa settentrionale fu infatti uno dei più cruenti e disastrosi per le potenze dell’Asse, nonostante l’estro del generale Rommel, la volpe del deserto.
Dal 1947, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle neonate Nazioni Unite sancì la riconquista della sovranità libica sul territorio, la fine del governo coloniale con il passaggio di proprietà ed infrastrutture dall’Italia al governo di Tripoli e la riparazione di gran parte dei danni derivati dalla guerra.
Da quel momento i rapporti tra Italia e Libia furono segnati dai veleni dell’eredità post-coloniale, esacerbata nel 1969 dalla presa di potere del Colonnello Gheddafi.
Carismatico uomo d’azione e baluardo di una narrazione che vedeva la Libia rivoltarsi alle forme di sudditanza verso le potenze occidentali, Gheddafi concretizzò la sua ascesa al potere il 1° settembre del 1969, abolendo la monarchia di Re Idris ed il diretto successore Hasan al-Senussi e proclamando la Repubblica ed il Consiglio del Comando della Rivoluzione, di Nasseriana memoria.
Gheddafi cementò il consenso interno attraverso un rinnovato nazionalismo panarabista, le cui matrici ideologiche sono contenute nei precetti del Libro Verde del Colonnello.
A farne le spese negli ultimi decenni del Novecento furono proprio le relazioni bilaterali tra i due Paesi, con la nuova Libia che rivendicò la necessità di ulteriori fondi riparativi e risarcimenti post-bellici.
In Libia l’Italia aveva statuito con la precedente monarchia numerosi accordi bilaterali, grazie all’eccellente dinamismo dell’ENI e del suo volto più noto, il tycoon dell’energia Enrico Mattei che dal 1956 ricercò un rapporto privilegiato con Tripoli, alla luce della sua importanza non solo geografica ma politica ed energetica.
Il 1970 fu invece l’anno della confisca dei beni e dell’espulsione di massa degli italo-libici. La scelta di Gheddafi, che seguì lo spirito di emancipazione che il discepolo di Nasser voleva perseguire dopo la presa del potere, ribaltò numerosi dei contenuti della risoluzione dell’ONU del secondo dopoguerra, che vincolava il nuovo governo libico al rispetto delle minoranze e dei cittadini di origine italiana ancora residenti nei confini nazionali.
L’espulsione di massa mise fine al retaggio post-coloniale italiano e portò ad anni di contenziosi mai superati tra le due realtà, acuiti ulteriormente dallo scontro frontale tra blocco occidentale e mondo arabo negli anni del terrorismo.
L’Italia nel 1986, con la storica soffiata di Bettino Craxi al leader libico, salvò la vita di Gheddafi dai bombardamenti su Tripoli voluti dall’amministrazione Reagan.
Una scelta che a posteriori pose le basi per un nuovo avvicinamento tra Roma e Tripoli che sfociò negli accordi Dini-Mountasser del 1998.
Fu tuttavia con Silvio Berlusconi che l’Italia riuscì ad imporsi nuovamente come partner chiave e strategico della Libia di Gheddafi sulle sponde del mediterraneo.
Nel 2008 i due leader firmano il Trattato di Bengasi. Un accordo che elevava a potenziale partenariato le relazioni tra i due Paesi attraverso una più stretta cooperazione culturale, economica ed una lotta congiunta al terrorismo ed ai flussi migratori irregolari.
A seguito di un’istrionica visita nella Capitale, animata anche da numerose contestazioni e richiami da parte del Colonnello ad Omar al-Mukhtar (storico leader del fronte di resistenza all’occupazione della Libia da parte delle truppe regie italiane) Gheddafi confermò la riconciliazione tra i due Paesi sulla base dei contenuti della componente chiave del Trattato di Bengasi, ribattezzata “La chiusura del passato”.
Fu attraverso la sutura dei drammi del Novecento che Berlusconi ed il suo omologo continuarono a rinsaldare accordi di cooperazione energetica ed economica, che ridiedero all’Italia una posizione di interlocutore privilegiato con il regime di Tripoli.
Un idillio diplomatico che avrebbe avuto vita breve con lo scoppio della guerra civile del 2011 e la messa a morte di Gheddafi, fortemente voluta dal blocco Occidentale nonostante le enormi reticenze dello stesso esecutivo di Berlusconi.
Timori confermati dagli sciagurati esiti del conflitto, capace non solo di danneggiare gli interessi italiani nell’area ma di gettare la Libia stessa nel caos per il decennio successivo.
Sulle macerie dell’odio e della contrapposizione tra lealisti e miliziani la Libia è ancora oggi terra di conflitto ed è divisa tra due distinte realtà politiche tra Tripoli e Bengasi.
Ulteriori tentativi di avvicinamento tra Italia e Libia si sono avute con il Governo Gentiloni e l’azione diplomatica di Minniti sul fronte cooperazione bilaterale per frenare i flussi migratori verso l’Italia ed il tentativo durante il primo governo di Giuseppe Conte nel 2018 di portare ad uno stesso tavolo Haftar e Sarraj. Con il disimpegno militare italiano, la predominanza geopolitica dell’area è stata cementata da Erdogan e dalla Turchia che sostenne la difesa di Tripoli contro Haftar.
Ad oggi, dopo la parentesi di Draghi il Governo Meloni sembra voler insistere sulla cooperazione bilaterale con la Libia per le politiche anti-immigrazione e quelle di matrice energetica.
L’ambizioso Piano Mattei vede come partner privilegiati proprio i paesi della sponda settentrionale dell’Africa e potrebbe inaugurare una nuova fase di avvicinamento tra due realtà un tempo diffidenti, divise e poi unite grazie agli stretti rapporti interpersonali di due leader carismatici come Berlusconi e Gheddafi.
La cooperazione tra le due realtà potrebbe essere decisiva a fronte di una stabilizzazione del teatro geopolitico mediterraneo verso cui Erdogan, Putin e Xi Jinping guardano con attenzione proprio attraverso le lenti del continente africano.
Italia e Libia, del resto, hanno legato per oltre un secolo due storie caratterizzate da imprevedibili tornanti di ascesa, declino e rinascita.
Oggi, il futuro delle relazioni tra i due Paesi rimane una grande e geopoliticamente imprevedibile incognita, mentre lo spettro del Colonnello Gheddafi continua ad aleggiare sulla Libia dilaniata dagli effetti della guerra civile.
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